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Orgoglio e Giudizio

26 aprile 2015
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ANALISI TEMPORALE DI UN VENTICINQUE APRILE PARTICOLARE

Orgoglio perché anche quest’anno il corteo è stato partecipato, molto. Orgoglio perché nonostante il cattivo tempo, la pioggia durante le orazioni, il frescolino autunnale di un improbabile aprile gallaratese, la gente ha resistito, ha ascoltato, ha sorriso e applaudito.

Giudizio perché troppe cose sono state deludenti.

Il cambio di percorso del corteo, inspiegato e difficilmente spiegabile con affermazioni logiche e accettabili, ha accorciato il percorso, tagliando fuori mezzo centro; il centro quello del passeggio del sabato mattina, il centro quello con i negozi aperti al 25 aprile, il centro quello dove magari c’è la gente che non gli frega niente ma che se passi di li un paio di domande se le pone anche. Un centro, quello storico di Gallarate, senza troppi tricolori appesi alle finestre. A 70 anni dalla Resistenza, Gallarate, importante nucleo operativo e di forte supporto alla guerra partigiana, pare dimenticare i suoi eroi. Più un dovere che un piacere, più un “s’adda fare” che una festa.

C’è un antefatto, che è la riunione organizzativa del 25 Aprile. Questo Natale laico della Repubblica viene organizzato dalla Pubblica Amministrazione in coordinamento con le associazioni d’arma, le associazioni combattentistiche, le scuole e altre varie realtà associative della città. In testa è ovvio che l’Anpi cittadina sia la più interessata all’organizzazione ed alla buona riuscita del corteo e di tutto ciò che lo contorna.

A questa riunione, succede che si decida di cambiare percorso, senza fare accenno alcuno alle motivazioni di una sciagurata scelta che, come detto, taglia fuori mezzo centro storico, ugualmente importante rispetto alla metà rimanente all’interno del percorso. Succede che nessuno dice niente, anche per non causare lungaggini e discussioni inutili. Mettersi a contestare un cambio di protocollo, capirete che da un punto di vista burocratico può sollevare non pochi problemi.

Succede anche nella medesima riunione che, una volta appurata la totale latitanza delle scuole uno dei più importanti membri di questa assiste, forse il più importante, se ne esca con un “beh, d’altronde per i ragazzi il 25 Aprile è una cosa vecchia, lontana”.

Beh, egregio signore, in questo Paese e in mezzo mondo miliardi di persone si ostinano dopo 2015 anni a festeggiare la nascita di un uomo al 25 di dicembre…se non è vecchio quello!

(per non parlare del fatto che il certificato di nascita di quest’uomo per ovvie ragioni non c’è, e quindi si festeggia, tutto sommato, un evento astratto e incerto. Ma questa è un’altra storia)

C’è anche un durante. Il durante è la banda che fa due pezzi in croce. Il durante è una testa del corteo (banda, istituzioni, associazioni d’arma, altre associazioni, popolo vario è la formazione tipo inizio-fine) che corre, corre, corre come se avesse un appuntamento irrinunciabile al quale deve andare. Corre, così tanto, che ci sono anziani che fanno fatica a stargli dietro, e allora il corteo perde la sua interezza e si spezzetta in 2, 3 parti, e improvvisamente sembra piccolo. Sembra ma non lo è! Sembra piccolo perché la tua visione è quel terzo dove sei tu, e l’altro pezzo, quello avanti o quello dietro, non lo vedi bene, ed è scomposto, sfilacciato.

ll durante è il risultato, anche dell’a(n)rtefatto. Un corteo veloce e sbrigativo che dura tra il quarto d’ora e i 25 minuti meno dell’anno precedente, e sto parlando di un corteo che in media è sempre

durato 35-45 minuti. Ho persino il dubbio che le corone in Piazza Risorgimento siano state lanciate tipo frisbee. Ma va beh!

Il durante è le macchine che passano in Largo Camussi durante l’orazione ufficiale. Largo Camussi dove c’è una statua di Gio Pomodoro dedicata ai martiri della Resistenza. Le macchine gli passavano davanti, ai martiri della Resistenza, nel loro giorno di festa. Le macchine, gli passavano davanti, agli oratori ufficiali e al poco pubblico resistito davanti al palchetto sotto la pioggia.

Si perché il protocollo, prevederebbe che, in caso di pioggia, le orazioni si facciano in sala consiliare, ma questo non è avvenuto. Perché?

…perché “ormai siam già qui”

…perché “guarda che se ce ne andiamo la gente se ne va a casa”

Perché “s’adda fare” e allora facciamolo, poco importa se viene bene o viene male, se la gente ascolta o fa capannina sotto ai portici. Ecco perché.

Il durante è anche, però, tutte le scuole medie di Gallarate che grazie all’impegno del Presidente dell’Anpi cittadina, si sono presentati con delle letture. Almeno una dozzina, ma forse pure il doppio, di ragazzi che uno dietro l’altro, sotto la pioggia, e davanti a un ristretto pubblico umidiccio (a fronte di un gradissimo pubblico coperto sotto i portici ma che poco poteva udire) hanno letto lettere, poesie, riflessioni personali meravigliose.

Il durante è anche la rappresentante degli alunni del liceo scientifico di Gallarate, che ha voluto prendere la parola, fuori programma per chiedere agli adulti, alle istituzioni e ai nonni, di non sparare a zero sui giovani, ma di credere in loro, dargli fiducia, incoraggiare e segnare la strada, come hanno fatto i partigiani sui monti.

Il durante è anche un ragazzo di 20 anni che riceve il testimone da un ragazzo di 89 anni. Il durante sono anche e soprattutto Ariele Aspesi e il Sen. Giuseppe Gatti che sono gli unici oratori che possono rappresentarmi in un percorso temporale di 70 anni che fa da collante tra passate e future generazioni di chi il 25 Aprile sa cos’è e cosa rappresenta, di chi ha la bocca sufficientemente pulita per poter intonare Bella Ciao.

Il durante è anche una parte di città, stupenda, che ha partecipato, nonostante tutto, nonostante si faccia il possibile e l’impossibile per relegare il 25 Aprile al nulla.

Il dopo è un giudizio. Uno solo che vale per tutto.

Il dopo è una vecchia colonna di Largo Camussi che sorregge faticosamente un’istituzione stanca e affaticata, forse pure un po’ scocciata dal prolungarsi dalle orazioni.

Il dopo è la scoperta di aver sbagliato alle urne.

Il dopo è tutto il rispetto che non c’è stato,

Il dopo è tutto il rispetto che io non avrò più per loro.

#bellaciao

23 aprile 2015

A voja a cantare bella ciao.

Ecco perché ho mal sopportato il Parlamento che cantava Bella Ciao.

Bella ciao non è una canzone che andrebbe cantata così, come si canta Piccolo grande amore, è un canto internazionale che porta con se un’enormità di valori e credenze che chiunque la canti dovrebbe avere bene in mente.

Bella ciao è il simbolo di una, cento, mille lotte che ci permettono oggi di dire un po’ tutto quello che ci pare, che ci consente oggi di godere tutti degli stessi diritti, di essere liberi.

Allora, vedere quei signori, quei cosi, rinchiusi nel loro palazzo dorato a cantare Bella Ciao per il semplice fatto che li, in fronte a loro, c’era il motivo stesso per cui loro sono li, mi ha dato fastidio.

Non certo perché i partigiani non meritassero quel canto, in quel momento, con tutti i parlamentari che si inchinavano al loro sforzo, alle loro sofferenze e a tutta la loro gioventù, ma perché semplicemente non puoi cantare Bella Ciao mentre fai a spezzatino la Costituzione, non puoi cantare Bella Ciao se pochi giorni dopo non sei in grado di evitare 700 morti in mare.

Non puoi cantarla e basta!

Non puoi perché sei un ipocrita, non puoi perché manco ti meriti che quella canzone ti stia in bocca.

Bella Ciao è un’insieme di persone che ha lottato affinché nascesse un compendio di diritti che tutelasse tutti allo stesso modo, e che anzi tutelasse i poveri ancor più degli anziani, affinché le scuole pubbliche fossero di elevato livello culturale, e le università accessibili a tutti; Bella Ciao rappresenta un’Italia dove la Salute è un diritto di tutti.

Bella Ciao significa un Parlamento pulito, senza pregiudicati.

Bella Ciao significa Lavoro, dignitoso, retribuito, nobilitante.

Bella Ciao significa Istituzione pulite, senza pregiudicati, senza corruzione, senza giochetti.

Bella Ciao significa un Parlamento eletto dal Popolo e di esso rappresentante, con pieni poteri legislativi e organo di controllo sul potere esecutivo.

Bella Ciao non la si può cantare così, a cuor leggero. Bella Ciao non la si può cantare un giorno, e quello dopo approvare in commissione una legge elettorale che spinge verso un presidenzialismo senza alcun controllo.

Bella Ciao è tanta roba, e molti di voi sono decisamente troppo poco!

La Guerra alla Povertà

29 marzo 2015

Dice Thomas Hobbes che l’uomo, per natura, tende a competere e a mettere paletti e recinti per delimitare la Sua area privata, di proprietà. L’esperimento Milgram attesta poi che l’uomo quando comandato, convinto, persuaso, tende ad eseguire ordini di una certa cattiveria, finanche a collaborare a ciò che è stata la soluzione finale. Banalmente si potrebbe sostenere che l’essere umano, per sopravvivere, è capace di tutto.

Io non ci sto!

A queste teorie ho sempre preferito credere che l’uomo sia dotato di intelligenza, e che sappia dunque distinguere il bene dal male e scegliere il bene.

Ultimamente devo ahimè constatare che la cattiveria pare insita nel genere umano tanto più quanto più estreme si rendono le condizioni sociali ed economiche in cui vive.

Insomma, in periodi di vacche grasse siamo tutti bravi ad essere tolleranti, accoglienti, aperti etc etc…

in periodi di vacche magre, la pancia di molti pare correre più veloce della testa, dando sfogo ad ogni più basso istinto.

Succede nella mia città che un’ordinanza comunale vieta il maltrattamento di animali a scopo di accattonaggio. In altre parole pare che se tu sei un cittadino con gli abiti puliti e addestri pittbul da combattimento puoi continuare a farlo, se invece sei un clochard che sgrida violentemente il suo cane (ovviamente in pubblico, perché “il pubblico” è la tua casa) non puoi farlo e ti tolgono il cane.

Insomma, in questa modesta città del nord hanno finalmente deciso di fare la guerra alla povertà, combatterla, opporsi. Peccato che hanno sbagliato guerra, e la guerra più che alla povertà la stanno facendo ai poveri. Ai più poveri di tutti.

Questa lungimirante ordinanza scaturisce ovviamente a seguito di pressioni sulla giunta da parte di caritatevoli amanti degli animali, un pò meno caritatevoli amanti del genere umano. Come dargli torto, d’altro canto? Conoscendo se stessi, probabilmente sanno che l’animale sa essere molto più dolce e sensibile del genere umano, quindi meritevole di protezione e aiuto.

Stante che l’ordinanza la si poteva fare meglio, vietando il maltrattamento degli animali in generale e non il maltrattamento ai fini dell’accattonaggio, in modo da rendere quella che è comunque una regola con valore legislativo uguale per tutti, come la legge dovrebbe essere, e non discriminante, trovo una simile iniziativa non solo stupida e vergognosa, ma immagine riflessa di un Paese che si nasconde dietro al dito, un Paese benpensante e borghesuccio dove la differenza la fanno solo i soli perché se hai un cane e lo addestri ed utilizzi per combattimento lo maltratti molto più che se lo tieni al freddo a elemosinare, ma visto che sei vestito bene e hai una villa, a posto così.

Signori tutti i cani hanno un sistema di riscaldamento corporeo straordinario per cui sono in grado di raggiungere la temperatura perfetta all’esterno, e all’interno. Anzi stando a vedere, cari i nostri benpensanti, tenerli in casa al calduccio (come faccio anch’io per altro), nuoce loro più che tenerli all’aperto…chissà come mai il mio barboncino mi perde tutto quel pelo sul divano, chissà, chissà…

 

Per fortuna che anche in città scopro poi, con sopresa, essere sopravvissuto l’homo sapiens sapiens che va in pigiama al mc donalds e prende un mese di colazione gratis. Poi da i buoni ai clochard. Piccole dimostrazioni del sopravvissuto genere umano, anche in città!

 

Trentenni

28 febbraio 2015

Ci mancava Capanna…

dopo essere stati insultati da Padoa Schioppa con il suo “bamboccioni”,

dopo essere stati insultati dalla Fornero con il suo “choosy”

dopo gli insulti di Martone con il suo “laurearsi dopo i 28 anni è da sfigati”,

ci mancava Mario Capanna che ci diceva che ci meritiamo di avere la pensione bassa perché non lottiamo.

Allora chiariamo un paio di cose, più che per Capanna, che di certo non sta a pensare a me, per tutti quegli ex sessantottini che hanno tanto da dire sulla mia generazione.

punto primo.

Siamo figli vostri. Siamo figli vostri in tutti i sensi. In primo luogo perché con ogni probabilità ognuno di voi ha procreato fisicamente una di queste creature che oggi ha 30 anni; in secondo luogo perché ci avete cresciuto, a vostra immagine e somiglianza se ci siete riusciti, nel migliore dei modi possibili altrimenti; in terzo luogo, ma non meno importante, siamo vostri figli “politici e sociali”. Siamo il futuro che avete disegnato per noi. Noi viviamo il frutto delle vostre lotte, delle vostre grida, dei vostri pianti, dei vostri voti. Siamo noi che viviamo il mondo che voi avete scelto, che voi avete votato, il mondo che avete vinto, o che avete perso. Quindi, cari ex-sessantottini, se non avete saputo insegnarci niente di meglio si quello che vedete farci oggi, abbiate almeno la dignità di assumervi parte delle vostre responsabilità, perché noi non c’eravamo.

punto secondo.

Noi sappiamo quello che viviamo, e credo sinceramente che la maggior parte di voi sia ancorato a valori e ideali del tutto oltrepassati, non tanto dalla politica, quanto dalle situazioni empiriche del Paese Italia. L’articolo 18? non sono più troppo sicura che sia una forma di tutela corretta, visto che può essere serenamente utilizzato per tutelare chi fa finta di stare male e non va a lavoro (o va a farne uno in nero), chi va a lavoro e si mette lo smalto invece di ricevere gli utenti, chi “non faccio questo perché non rientra nel mio mansionario” etc etc… Questo non significa che io personalmente ritenga il Jobs Act un buon provvedimento, e chi mi conosce sa quanto poco abbia a cuore Renzi. Tuttavia il sistema di tutele precedente, dava più che altro l’impressione di tutelare i soliti noti a scapito di una generazione allo sbaraglio che ha molta voglia di Lavorare, e zero opportunità per farlo (salvo fare il volontario ad EXPO).

punto terzo

Forse non ci conoscete. Fatevene una ragione. Non ci conoscete, non riuscite a capirci, e probabilmente mai ci riuscirete. Non è colpa vostra, non è colpa nostra, apparteniamo a due generazioni troppo distanti forse. Troppo spesso siamo preparati, conosciamo le lingue; spesso e volentieri siamo ottimamente laureati, e abbiamo impiegato più tempo a studiare per dare gli esami che nelle piazze per ottenere i 18 politici. Tutto questo, cari ex-sessantottini, non è servito a nulla. E’ servito molto di più la vostra lotta per il 18 politico, a chi si è laureato con il minimo sindacabile negli anni d’oro, e che ora viene a dire a me che magari sono un bamboccione, uno sfigato, un choosy, e chi più ne ha più ne metta. Beh, sapete che c’è? preferiamo il nostro impegno quotidiano, la nostra fatica per quel fottuto 110 e lode, alle vostre grida condite con 18 politici.

Non ci interessa il posto fisso, ci interessano i nostri sogni, e se non vi sta bene, cari ex-sessantottini, prendetevi anche questo pezzo di responsabilità, perchè ci avevate detto che se ci saremmo impegnati, saremmo riusciti, che se avessimo studiato, avremmo avuto un bel lavoro, e dubito intendevate il posto fisso al call center con la laurea in economia aziendale. Prendetevi anche questo pezzo di responsabilità perché ci avete dato tutto, anche senza che ve lo chiedessimo. Ci avete dato le Nike, la tuta dell’adisas, le Buffalo e le ZoneX per i più Tamarri; ci avete dato le magliettine della Onyx e i Jeans della Levis. Ora non abbiate la pretesa di farci mangiare pane e zucchero per cena, per andare a vivere da soli…

punto quarto.

Al potere ci state voi!

Viviamo in un Paese, se ve ne siete resi conto, dove a 40 anni si è giovani. Un paese in cui per legge il Presidente della Repubblica deve avere 50 anni, ma noi non riusciamo nemmeno a concepire un 60enne a rappresentarci nel mondo…”non ha esperienza” si dice. Un Paese gerontocratico, interamente nelle mani degli over 50, nel pubblico e nel privato. E non tiratemi fuori Renzie e le sue vallette perché una rondine non fa primavera. Dunque, siete al potere ovunque, se non vi piace come vanno le cose, fate qualcosa. Non dite di farlo a noi che siamo minoranza esigua in questo Paese, sia come bacino politico, che sociale. Non abbiamo nessun tipo di potere, nemmeno quello dell’esser maggioranza con potere di “ricatto”, come lo eravate voi.

ultimo. punto quinto.

Il fondamentale. Non sapete niente delle nostre lotte, ma vi ergete a supremi giudici di vita. Non sapete niente di cosa significa per quel ragazzino tamarro con le buffalo ai piedi, aver studiato tanto per avere un futuro, e vedere i suoi colleghi ragionieri con la casa, la moglie e i figli. Non sapete il dolore che può provocare in una non-più-giovane-trentenne vedere il resto dell’umanità che fa figli e dover attendere il suo turno, perché non può mantenerlo…macchè mantenerlo, non può nemmeno immaginare di dargli vita. Non sapete cosa significa l’incertezza del futuro, e quella del presente, che è ancora peggio. Che ne sapete, di quel che significa vivere in un Paese dove tuo padre a 67 anni è costretto ad andare a lavorare con la schiena a pezzi, perché non ha i requisiti per la pensione, e doverlo stare a guardare, da casa, disoccupato come un coglione, sentendoti impotente davanti a tutto questo?! Cosa ne sapete di cosa significa cercare di aprire impresa, in assenza di alternative, trovando davanti a se un carro-armato di burocrazia e scartoffie completamente dissociato dalla realtà, che ragiona ancora con i vostri paletti mentali, invece di vedere al presente e al futuro fatto di competenze multidisciplinari? Cosa ne sapete di cosa significa non avere alcuna rappresentanza politica e sindacale che si occupi seriamente di te? Cari ex-sessantottini, avete tanto fiato da spendere per dirci che non scendiamo in piazza, ma non avete occhi per vedere e sostenere i movimenti studenteschi di oggi. Non avete fiato per condannare la polizia che mena i ventenni nelle piazze. Cari ex-sessantottini, quanti di voi erano al G8? Carlo Giuliani aveva 22 anni, e trenta non li ha potuti avere.

Cari ex-sessantottini, legate le vostre lingue 5 minuti, e provate a mettervi nei nostri panni.

Avreste il coraggio di alzarvi la mattina con il sorriso sul volto?

Noi lo facciamo! tutti i santi giorni, e nonostante le vostre inutili imprecazioni, che servono solo a farci incazzare, e mai a indicarci la strada, andiamo a “lavorare”, o a cercare un lavoro, a 600 euro al mese, e puoi lottare quanto vuoi perché dietro di te c’è la fila a sostituirti.

E quando usciamo da lavoro, se ci va, ci facciamo uno Spritz, e proviamo a sognare, ad occhi aperti, quel futuro che non arriva mai.

Mario Capanna e tutti gli altri, siamo figli vostri!

E se non bastasse, vi paghiamo le pensioni (che non vedremo)

chiedo dunque…

…Rispetto!

in foto: Manifestazione Studentesca 2008 _Noi si Manifesta, Voi non ci ascoltate

Chiarimento per gli sconosciuti: Ritengo il 68 il miglior movimento politico visto da questo Paese dopo la Resistenza. Ringrazio chiunque vi abbia partecipato per tutti i diritti che mi ha lasciato, per tutte le lotte che non ho dovuto affrontare. Ringrazio Mario Capanna per essere stato d’esempio e per esserci sempre stato! Grazie, di cuore, a tutti i sessantottini, ma almeno voi…risparmiateci!

Vita Taragna

5 gennaio 2015

Sono stata in montagna a capodanno. In uno di quei posti dove gente come me si domanda come si possa fare a vivere.

Farmacia? a valle

Scuola? a valle

Spesa? a valle

Uno di quei posti dove la gente, credo, cresca tosta, forte, capace di combattere le avversità con tutta un’altra grinta. Capace, certamente, di resistere al freddo!

Ovviamente ho goduto di panorami mozzafiato, di aria fresca e pulita, di cibi e bevande allo stato sano 100%.

Ritengo che il cibo possa essere materia utile per la comprensione sociologia di un popolo. Lo è la cucina mediterranea rispetto agli italiani (nel mondo); lo è la polenta taragna e la grolla rispetto alle genti di montagna.

Per fare la polenta taragna, come dio (o nonna) comanda, ci vogliono almeno 4 ore, buoni bicipiti, e in alternativa o buoni amici, o un’ottima capacità di stare soli. Già perché la polenta non è che puoi metterla li sul fuoco e andare a fare i mestieri, o a comprare velocemente le ultime cose, o a giocare coi figli/amici. La polenta, a differenza del ragù per esempio, la devi seguire secondo per secondo. Devi star li e la devi girare, aggiungere ingredienti, girare, aggiungere ingredienti, girare, girare, girare. E se devi girare per 4 ore, meglio farlo in compagnia. Così ti metti li, col tuo branco di amici, vicino ad un camino e magari con un buon rosso tra le mani, e giri.

La Taragna diventa così una splendida metafora della vita Slow. Slow, come lo slow food, slow come la voglia di stare insieme e vivere a giusti ritmi. Per non parlare del fatto che Slow, dal decimo tornante in su, significa anche che il burro lo ha fatto lo zio, il formaggio lo ha fatto il vicino di casa, la salsiccia magari l’ha fatta il sindaco. E tutte le bestie che in qualche modo ti stai mangiando (tramite latte o salsiccia che sia) hanno potuto godere per tutta la vita (mica come me per un solo giorno) di quell’aria pulita, di quell’acqua fresca e incontaminata, di quell’erba verde e genuina che rendono in fine il piatto uno Slow Piatto perfetto!

Così la grolla, uno strano mix di caffè, alcol, cannella, chiodi di garofano e chissà quali altre meraviglie, calda e bollente, è servita in modo che, di per se, sia conviviale, e se tu non sei conviviale: diventacici!

Una tazza con coperchio in terracotta con almeno 6 imboccature. Dunque vedete di essere almeno in sei prima di ordinarne una, due, tre. La grolla scalda il corpo e il cuore.

E quando poi ti dicono che “voi avete tante cose per divertirvi, noi ci vediamo al bar, stiamo insieme e ci divertiamo!”, in quel momento capisci che forse è solo una questione di cuore, di avere a fianco le persone giuste, e a quel punto non c’è discoteca che regga, non c’è lounge bar che possa competere. Se hai dei buoni amici è sufficiente una struttura di montagna che racchiude in se albergo, bar, ristorante, sala giochi, biblioteca, sala biliardi.

Basta uno zio che faccia il burro, un vicino che faccia il formaggio, e un sindaco che produca salsicce.

Bastano due bicipiti forti, ed un bicchiere di vino.

Basta una grolla e un numero sufficiente di amici a scaldarti il cuore.

Un po di vita, a patto che sia Slow!

L’antifascismo! Oggi!

1 dicembre 2014

Succede che il 29 Novembre a Varese c’è stato un meraviglioso corteo antifascista, composto, ordinato, rispettoso e allegro quanto basta. Succede che lo stesso giorno un assessore varesino perde una buona occasione per tacere, lasciandosi andare a superficiali offese verso chi quello stesso giorno si limitava ad esprimere pubblicamente delle idee, evidentemente, differenti dalle sue.

Il suddetto assessore ha naturalmente dato vita ad un simpatico scambio di vedute sulla sua pagina Facebook, dove tra i numerosi insulti ed epiteti verso gli antifascisti, vengono poste interessanti domande retoriche del tipo “questi vedono il fascismo ovunque, ma dove vivono”, adducendo al fatto che ci sono capannoni che chiudono, crisi economica, povertà crescente etc etc.

E allora spieghiamolo a questa gente che cos’è l’antifascismo!

Antifascismo, oggi, significa in primo luogo insegnare i valori di democrazia, libertà e uguaglianza di cui lo stesso assessore gode. Gli stessi valori che tutelano le sue offese a dispetto di quei manifestanti, gli stessi valori che gli permettono di dar fiato alla bocca e far uscire da li qualunque cosa creda.

Antifascismo oggi significa guardare alla crisi economica individuando come causa di questa, non il solito rom, immigrato, zingaro, clandestino, poveraccio, ma un’assetto socio-politico economico e culturale che hanno portato allo sfociare della crisi suddetta. Una per tutte: l’arricchimento dei soliti noti a scapito dell’impoverimento di altri soliti meno noti.

Antifascismo oggi significa tentare di mantenere alta la bandiera della tolleranza, del rispetto della diversità.

Antifascista oggi significa ricordare quello che hanno fatto ieri quei ragazzi, per evitare che risucceda, e allora significa ricordare, un po’ a tutti, che con il fascismo i treni erano puntuali, le strade pulite, le colonie per i ragazzi assicurate, e magari anche le pensioni garantite; ma dietro a tutto questo c’era il confino per i dissidenti politici, la pena di morte per chi non aderiva alla leva, l’oro chiesto alle famiglie per fare la guerra. Dietro tutto questo c’era l’arroganza di un sistema di potere dittatoriale, c’era l’omicidio Matteotti, c’era la privazione della libertà.

Antifascismo oggi significa manifestare il 29 Novembre a Varese affinché anche gente come quell’assessore possa aprire la bocca e sproloquiare a suo uso! Significa permettere a lui e a quelli come lui di darmi della zecca, della morta vivente e della pseudosindacalista! Antifascismo significa difendere anche la sua libertà! E per quel che vale, continuerò a farlo.

La Grecia è vicina?!

18 novembre 2014

Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli.”

– Martin Luther King –

  Apprendo oggi, senza troppo stupore, che CasaPound apre a Varese. Stante che CasaPound è un organizzazione riconosciuta perfettamente legale dalle istituzioni, è pur vero che intorno a questa associazione c’è un gran vociare di cose un po’ meno legale. Lo si evince dalle loro bocche in “fascisti nuovo millennio”, uno splendido documentario di Carlo Bonini, Valeria Teodonio, Fabio Tonacci e Corrado Zunino.

Assistiamo quasi impotenti al dilagare della violenza, quanto meno verbale quando non fisica, nei confronti di chiunque sia diverso, in qualunque modo esprima la propria diversità. Assistiamo impotenti davanti a scene come quelle di Tor Vergata dove diviene sempre più difficile riconoscere buoni e cattivi, giusti e ingiusti, razzisti e non. Alla boutade di un cittadino “non sono io che sono razzista, sono loro che sono negri” buona parte di pubblico ride. La crisi e la povertà dilagante in cui le istituzioni hanno deciso di abbandonare milioni di italiani stanno tirando fuori tutte le nostre miserie, le nostre piccolezze e viltà.

Pare insomma che gli italiani non fossero razzisti solo fintanto che non hanno dovuto scontrarsi con il problema reale dell’immigrazione, di qualunque tipo essa sia. Quando poi la torta si fa sempre più piccola e i poveri sempre più affamati e numerosi, è facile che, in assenza di Stato, strabocchino i peggiori sentimenti. Subito di seguito i peggiori umani;a cavalcare tutta la disperazione. Sembra che l’italico popolo in giusta rivolta non riesca a individuare chiaramente il proprio “nemico”, indirizzando quindi tutto il proprio astio e la propria disperazione sul bersaglio più facile e più vicino: l’immigrato, il nomade, il rom, il sinto, lo zingaro, il clandestino.

E che c’entra CasaPound?!

C’entra tutto e c’entra niente.

Non centra nel momento in cui questa situazione sociale esplosiva è stata creata da una classe politica allo sbando, incapace di affrontare qualunque tematica che riguardi la popolazione e il suo benessere.

C’entra davvero poco quando i responsabili di questa crisi dilagante, hanno nomi altisonanti e portafogli belli gonfi. C’entra molto quando distingue tra italiani e migranti, distribuendo pacchi di pasta solo ai cittadini italiani; quando sfonda case vuote per farle occupare, ma solo agli italiani; quando generalizza additando l’immigrato a spauracchio generale, per le donne che saranno stuprate, per i vecchi che saranno derubati, per gli uomini a cui sarà rubato il lavoro.

Tutto questo chiarendo il concetto per cui

prima noi, poi loro

E chissà quanti di noi sono d’accordo con questa affermazione!

Sono convinta che questa gente si combatte con le idee, e non chiedendo il loro silenzio, o la loro messa fuori legge.

Convinta come sono di essere dalla parte del giusto quando sono antifascista, antirazzista e antirazzista, trovo riduttivo e poco utile chiedere che a loro non sia concesso di parlare.

Abbiamo già fatto questo errore. Pensavamo di averli “chiusi nelle fogne“, come urlava un slogan sessantottino. Ma quando arriva l’alluvione e il letto del fiume è pieno, i tombini poco puliti, e gli argini deboli, le fogne escono fuori e sporcano tutto. Allora lasciamoli parlare, e nel contempo parliamo noi. Facciamo cultura, spieghiamo e rispieghiamo i valori della democrazia, dell’antifascismo, della tolleranza, dell’accoglienza. Spieghiamo i disvalori del capitalismo sfrenato, della rincorsa alla ricchezza, di un mondo dispari incapace di distribuire la ricchezza tra tutti.

Spieghiamo sempre cosa c’è dietro quel pacco di pasta regalato, cosa c’è dietro alla perdita del posto di lavoro dell’italiano. Guardiamo bene al fascismo sociale di un tempo, alle colonie, alle bonifiche, alle grandi opere, all’INPS, alla Mutua e a tutte quelle grandiose cose che ha saputo costruire, per guardare al fascismo di oggi. Perché come ieri c’erano dietro le leggi razziali, i prigionieri politici, la censura, la guerra; oggi c’è dietro qualcos’altro di molto simile ed edulcorato.

Allora, nell’attesa che lo Stato e le Istituzioni si sveglino dal coma in cui sono caduti, armiamoci noi, con i libri, e sconfiggiamo per sempre questi inutili rigurgiti, con la cultura.

FASCISTI NUOVO MILLENNIO
di Carlo Bonini, Valeria Teodonio, Fabio Tonacci e Corrado Zunino

E allora… parliamone…

16 novembre 2014

…della guerra tra i poveri,

…dell’immigrazione,

…della Sinistra che latita,

…dell’ipocrisia della gente,

…del sindacato,

…dei voltagabbana,

…dei faciloni e dei facilisti,

…dell’antifascismo …e del fascismo,

…dell’ignoranza,

Riparliamone, perché non ce la faccio più!

 

Figlia di mio padre

27 aprile 2011

Provo ad ignorare le offese personali, provo sempre a sorpassare ogni futile giudizio, ma quando vengo attaccata perchè sono figlia di mio padre davvero non riesco a digerirlo. E non è una questione di famigggghia, non è nemmeno questione di onore, è il principio che mi urta.

I benpensanti del centrodestra gallaratese mi attaccano (ed è la seconda volta pubblicamente) perchè io sono la figlia del presidente dell’ANPI cittadino, e contemporaneamente sono una piccola microscopica esponente della vita politica gallaratese. Pare, a sentirli, che se tuo padre è politicamente impegnato tu debba farti da parte, oppure debba farsi da parte lui. Il qualunquismo e la superficialità, nonchè la poca, pochissima, quantità e qualità di informazioni di cui questa gente dispone infastidisce. Nelle loro teste funziona più o meno così: se sei di sinistra e sei impegnato e tuo padre è anch’egli impegnato politicamente tu sei un cretino indottrinato e irrigimentato. Mentre se sei di destra e sei figlio foss’anche di un evasore fiscale, di un truffaldino o di un ladro di stato, beh “lasciate stare i figli, loro non c’entrano”. Sono sempre stata contraria al nepotismo al contrario, quello secondo cui se hai un cognome noto significa che sei raccomandato. Figuriamoci quando tocca a me, che so quel che vivo, so perchè lo faccio, so quanto impegno ci metto, il fastidio che mi da.

Ebbene sono orgogliosa figlia di degno padre. Sono cresciuta ritenendo la politica un bene comune, da preservare e tutelare; sono cresciuta pensando che la democrazia sia la miglior forma di governo esistente; sono cresciuta nella consapevolezza che ogni mio diritto deriva dalla Costituzione Italiana, che deve essere difesa con forza e determinazione. Sono cresciuta anche credendo che Berlinguer era una persona meravigliosa (ed io mi chiamo Enrica in suo onore) ma non ne capivo fino in fondo il motivo. Sono cresciuta nella consapevolezza che pagare le tasse è bello, che evaderle è delinquenza e non furbizia.

Poi ho studiato, ed ho imparato ancora che Karl Marx è il più grande filosofo economista di ogni tempo e che senza di lui il caro amico capitalismo sarebbe materia oscura; ho anche finalmente capito perchè Berlinguer era una brava persona. Ho imparato che essere partigiani significa stare da una parte, scegliere, esporsi. Ho imparato che tante volte non sono d’accordo con mio padre, ma che le basi che lui mi ha fornito che sono quelle della democrazia, della legalità, della responsabilità, dell’impegno, e della passione, sono state e rimarranno indispensabili per le mie conoscenze future.

Sono figlia di mio padre. Ebbene si

il giorno dopo il 25 Aprile

26 aprile 2011

Accade che il giorno dopo il 25 Aprile appare su tutta la stampa locale una dichiarazione di Alessandro Petrone, capogruppo uscente del Popolo della Libertà gallaratese. Accade che questa dichiarazione ufficiale fa venire i brividi, un po’ di tristezza, e tanta rabbia. L’esponente del partito dell’amore non ha tardato a polemizzare, senza alcuna conoscenza dei fatti, come spesso gli succede, su una festa di popolo. Alessando Petrone, esponente di primo piano del Popolo della Libertà, dopo aver denominato su una bacheca pubblica di facebook la consigliera Cinzia Colombo “quell’essere”, dopo aver l’anno scorso proposto di sostituire Bella ciao con Il Piave confondendo la Resistenza con la Prima guerra mondiale, ad essa antecedente (lo spiego a Petrone perché credo che i lettori abbiano ben chiare le date), quest’anno si permette di dare della fascista all’oratrice ufficiale dell’Anpi al 25 Aprile.

Si, sono portavoce di Sinistra Ecologia Libertà a Gallarate, ma sono anche membro attivo della sezione ANPI di Gallarate. Naturalmente sono anche figlia di mio padre, per chi volesse porsi domande. Conosco le polemiche che seguiranno a questo mio triplice ruolo, “è una vergogna” urlerà qualcuno “che la stessa persona sia rimandabile ad un partito e ad un’associazione”. “E’ una vergogna” mi unisco al coro. È vergognoso che l’antifascismo sia un valore fondante solo e soprattutto per la sinistra (nel suo più ampio termine). È una vergogna che io debba sottostare a tali critiche perché faccio ciò che mi piace fare. Scindo molto bene i miei ruoli, e mai mi vedrete approfittare dell’uno o dell’altro.  Detto questo voglio rispondere al signor Alessandro Petrone, e voglio rispondere a titolo personale, ma in relazione al mio duplice ruolo.

Come portavoce di Sinistra Ecologia Libertà mi domando, e domando ai cittadini tutti, quale amore può spingere il signor Alessandro Petrone ad utilizzare certi epiteti. Domando ai cittadini, se è il caso di votare per una persona che da capogruppo uscente in Consiglio Comunale  del PDL, quando parla non sa nemmeno di chi parla. Gaia Angelo non è iscritta a Sinistra Ecologia Libertà, e non ricopre alcun ruolo all’interno del partito di cui posso essere orgogliosa portavoce. Tuttavia, ammetto che mi spiace che una ragazza così in gamba, capace di tanto equilibrio e di tanta passione non sia membro effettivo del partito che rappresento.

Come membro dell’Anpi voglio illustrare al signor Alessandro Petrone cosa sia quest’associazione e di cosa vive. L’Anpi vive di passione e di impegno politico (e non partitico, lo spiego a Petrone perché potrebbe non immaginarne la differenza). Passione ed impegno di molti militanti, partigiani di un tempo e partigiani di oggi. Alcuni dei partigiani di oggi hanno tra i 20 e i 30 anni, e ieri mattina si sono svegliati alle 6.30 per gonfiare i palloncini che danno colore a questa festa meravigliosa che è il 25 aprile. Lo facciamo per amore e passione, perché crediamo nell’antifascismo. Lo facciamo, non certo per una poltrona, e tantomeno per apparire sui giornali, visto che nulla (a ragione) ci è riconosciuto nominalmente. Invito il signor Alessandro Petrone, che in periodo di campagna elettorale ci tiene così tanto a questa Festa della Liberazione, ad iscriversi all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, per dimostrare alla cittadinanza tutta che lui crede in questa che ha definito “festa di popolo” e che secondo lui noi rendiamo “comizio di partito”. Lo invito il 25 aprile prossimo a svegliarsi insieme a me e agli altri ragazzi alle 6.30 per gonfiare i palloncini. Non avrà però il suo nome stampato, né sulle automobili, né sui palloncini.